Vi facciamo una confessione: Michele ed io non siamo solo degli attenti osservatori, siamo dei veri e propri guardoni. Quando camminiamo per strada e vediamo delle finestre aperte, ad esempio, curiosiamo nelle case altrui, cercando cose belle e scoprendo cose brutte. Se è sera la nostra attenzione cade spesso sull’illuminazione, ed è abbastanza misterioso e doloroso accettare che molte persone riescano a sopravvivere con una luce sbagliata, incapace di metterti a tuo agio.
Ma c’è una parte della casa che da “passeggiatori guardoni” non riusciamo a scrutare: e parliamo dei pavimenti. Per quelli dobbiamo affidarci ad un colpo di fortuna, com’è accaduto pochi giorni fa. Perché un’altra cosa che facciamo è curiosare nei camion delle macerie dei cantieri. Lo so, visti da fuori, dobbiamo apparire piuttosto naif, ma è più forte di noi.
Stavamo camminando nella nostra zona quando scorgiamo un viavai di operai intenti a scaricare cassette di materiali sulla ribalta di un camion. Ci avviciniamo in modalità Scherlock Holmes e iniziamo lo studio archeologico dei cumuli di macerie di un appartamento appena raso al suolo. E cosa troviamo? Una bella sezione di pavimento così configurato: massetto + graniglia originale + piastrella insignificante.
Non ci rimane, dati alla mano, che ricostruire la storia di una casa che non conosciamo, come intenti a scrivere un copione già visto, purtroppo.
Erano gli anni ’30 del secolo scorso e avevano appena finito i lavori: parquet nelle camere da letto e graniglie nel resto della casa. Il corridoio era a scacchi, con una cornice di diverso colore, quasi a disegnare un tappeto. Le stanze avevano graniglie di colori diversi ma giocavano sulle medesime cromìe: un bel rosso mattone, un giallo senape che ricordava la polvere di curcuma ed un fumo di Londra intento a disegnare le foglie di una vite.
A cantiere terminato entrarono i proprietari, una coppia appena sposata nella Chiesa a pochi metri da casa, appoggiarono le due valigie di cuoio, ereditate dagli zii tornati dall’America, e si baciarono su quel pavimento. E vissero felici, almeno fino alla guerra.
Poi passarono gli anni, i decenni del secolo breve, fino a che la casa non passò di mano alla fine degli anni ’80, quando un’altra giovane coppia l’acquistò. Gli spazi sapevano di vecchio, odoravano di chiuso, di un passato non più riconosciuto. La parola d’ordine fu rinnovamento, senza soldi e senza gusto: tutte le graniglie ed i parquet vennero ricoperti con piastrelle anonime di colore beige, lisce, così comode da tenere in ordine e da pulire.
I giorni si rincorrevano veloci come il vento sopra quel pavimento anonimo che custodiva un tesoro. Altro giro, altra corsa, come alla roulette, e altra famiglia. La parola d’ordine, tuttavia, non cambiò e “rinnovamento” divenne distruzione di tutto. Martelli penumatici, per giorni e giorni, disintegrarono il passato, senza avere pazienza, senza saper ascoltare e vedere la bellezza di una storia nascosta. E così il pavimento più recente venne unito per sempre alle graniglie più vecchie, in macerie incapaci di discernimento.
Ma poteva esistere un altro finale, ed altrove esistette, perché una casa degli stessi anni venne acquistata da un’architettrice – Chiara – che intuì qualcosa quando entrò per la prima volta in quell’appartamento, bello solo per la luce naturale ma distrutto dal rinnovamento. E come una carezza iniziò a martellare il pavimento che, spaccandosi, riscoprì le graniglie, felici di rivedere la luce. Ed il passato di valore tornò a vivere, con un’eleganza che oggi non esiste più.
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